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5) Le sostanze chimiche: un dato unico e corretto per adempiere a tutte le normative

In questo quinto capitolo della rubrica dedicata alla valutazione del rischio chimico andremo a spiegare quelle che sono le basi per una corretta valutazione del rischio da agenti chimici: ossia l'analisi delle informazioni che utilizziamo per la nostra valutazione del rischio chimico.

I componenti fondamentali di tale processo sono 2: il pericolo e l’esposizione. La prima componente è decritta mediante le classificazioni di pericolo in adeguamento al Regolamento CLP, la seconda invece deve tenere in considerazione molteplici fattori, quali la quantità, la frequenza di utilizzo, i tempi di esposizione, le misure di controllo previste, i DPI, la formazione, l’informazione, l’addestramento e, soprattutto,  i valori limite di esposizione professionale.

Dunque sorge spontaneo porgersi una domanda: qual è la fonte principe dei componenti sopra evidenziati? Ovviamente la Scheda Dati di Sicurezza (SDS), che risulta quindi fondamentale nel processo di individuazione del pericolo ma anche di valutazione e gestione del rischio.

Però, come abbiamo visto nelle precendenti puntate, di questi documenti ad oggi non ci si può fidare al 100%: infatti è fondamentale saper discernere fra informazioni di buona qualità ed informazioni che possono risultare fuorvianti, quindi conoscere le fonti di informazioni (ad es. banche dati ECHA e ISS) e la loro attendibilità, per poter verificare quanto viene comunicato dai fornitori. Ricordiamo anche che le banche dati sono dinamiche e in evoluzione, in quanto si arricchiscono di giorno in giorno di nuove informazioni da altre fonti normative di altri paesi e/o bibliografiche, secondo quanto previsto dal Regolamenti stessi e dei principi che gestiscono lo scambio di queste informazioni lungo le varie catene di approvvigionamento. In una realtà cosi dinamica e complessa le informazioni in entrata diventano quindi di fondamentale importanza e devono essere sempre più frequentemente monitorate e valutate da persone adeguatamente formate.

Quanto detto sinora si sposa appieno con la ratio che muove la disciplina della valutazione del rischio: ossia che la responsabilità della corretta valutazione è in capo al datore di lavoro ed è essenziale - per tale motivo - un aggiornamento continuo delle informazioni considerate per adempiere a questa prescrizione. In tal senso infatti entra in gioco non solo la normativa specifica ma anche il Codice Civile all’art. 2087: “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell'esercizio dell'impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l'esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l'integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.

 

UN'ANALISI PIU' APPROFONDITA

Ora spingiamoci un po' oltre, cercando di fare un passo leggermente in avanti rispetto a quanto detto sinora. Sembra lapalissiano affermare che nella valutazione del rischio chimico vengono analizzati i composti chimici presenti. Ma possiamo affermare che non è così evidente cosa essi siano: infatti, se parliamo di composti chimici questi vengono generalmente nominati con molteplici termini come ad esempio sostanze, miscele, preparati, impurezze, agenti chimici, agenti cancerogeni e mutageni, biocidi, cosmetici, agrofarmaci, pesticidi, etc. Tutte queste diciture evidenziano le svariate sfaccettature che possono assumere, quando e se, ricadono in normative che definiscono il loro destino finale. Citiamo di seguito alcuni casi di normative particolarmente importanti e pressochè ubiquitarie in ogni azienda:

a) La normativa sul controllo del pericolo da incidenti rilevanti (Seveso) di recente aggiornata al regolamento CLP e utilizza le stesse informazioni sopracitate per individuare gli adempimenti applicabili all’azienda.

b) Gli adempimenti relativi alla tutela dell’ambiente (D.Lgs. 152/06 e smi): gli obblighi autorizzativi come ad es. l’Autorizzazione Unica Ambientale (AUA) o l’Autorizzazione Integrata Ambientale (AIA), le quali sono spesso collegate alle classificazioni delle sostanze che entrano nel processo produttivo; la classificazione dei rifiuti (frasi HP) la quale si basa su regole concettualmente molto simili al Reg. CLP e che usa come informazioni di base sempre la classificazione di pericolo; altri adempimenti correlati quali ad es. la presentazione del piano gestione solventi da parte di aziende che utilizzano composti organici volatili oltre certe quantità o la presentazione della relazione di riferimento per aziende in AIA che movimentano sostanze con determinata pericolosità.

c) Il trasporto merci pericolose in tutte le sue forme (ADR-strada, RID-ferrovia, ADN-via fluviale, IMDG/IMO-mare, ICAO/IATA-Aerea) le quali hanno come fondamento proprio la classificazione di pericolo per l’applicazione o meno delle sue restrizioni. Le regole di classificazione sono pressochè uniformi a quelle del regolamento CLP e fanno riferimento al manuale dei criteri e delle prove ONU.

d) Svariate le normative prettamente di prodotto che basano tutta la loro applicazione sui pericoli delle sostanze stesse, come ad es. biocidi, cosmetici, dispositivi medici, fitosanitari, eccetera.

Dunque, le normative a cui sono soggette le sostanze chimiche possono essere decine e completamente differenti. Serve quindi in ogni azienda un “luogo” o un sistema che permetta di avere queste informazioni in maniera univoca, corretta ed aggiornata il più possibile continuamente, da cui chiunque possa “pescare” all’occorrenza. Il DCCOM (Digital Chemical Compliance) può essere un’alternativa interessante.

Stiamo scrivendo tutto questo perchè vogliamo confermare che è obbligatorio per ogni sostanza avere la medesima classificazione sia nel documento del rischio chimico, che nell’AUA presentata o nella classificazione per l’ADR o nell’assoggettabilità alla Seveso.

Sembra logico dirlo, ma se lavorate nel settore saprete quanto possa essere complesso attuarlo (v. Tommaso pensiero).

 

CONCLUSIONI

Per una buona valutazione del rischio chimico e per districarsi nel labirinto normativo a cui sono oggi soggette le aziende, il datore deve essere consapevole delle criticità illustrate, riconoscendo l’importanza di avere informazioni corrette e specifiche su tutti i composti chimici presenti in azienda.

Sia le normative di prodotto che quelle sociali sono fortemente influenzate dalle caratteristiche di pericolosità di sostanze/miscele/articoli utilizzati e quindi, qualora presente la SDS, questa può essere uno strumento dal ruolo importantissimo e centrale. Tuttavia La SDS non è sempre presente o non sempre viene compilata correttamente, per tale ragione il datore di lavoro/gestore/legale rappresentante ha l’onere di dover verificare le informazioni in essa contenute per adempiere correttamente agli obblighi che gli sono imposti dalla legge. Per poter sopperire alla carenza di informazioni dovrà quindi attivarsi innanzitutto con i propri fornitori, richiedendo quanti più dettagli possibili ed avvalersi di un adeguato supporto interno od esterno. Una volta raccolte le informazioni dovrà tenerle aggiornate e verificare che siano gestite in maniera univoca in tutte le normative a cui deve far riferimento.

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